mercoledì 10 luglio 2024

Il palio di Siena

È una delle manifestazioni più famose e rinomate dell’Italia, tanto che ogni anno sulle reti ammiraglie vengono date in diretta le due competizioni principali, quella del 2 Luglio della Madonna di Provenzano e quella del 16 Agosto detta dell’Assunta, che vedono milioni di persone anche dall’estero sia in televisione che “in piazza” seguirle con passione e che sono state annullate solo per eventi anche infausti eccezionali come quello del Covid. Ma sicuramente quelli più agguerriti emozionati e in ansia sono gli stessi Senesi. Si narrano storie di famiglie divise nelle varie contrade, di figli fatti nascere (quando ancora si nasceva in casa) in una contrada piuttosto che in un'altra, o di inviti vicini al parto  con la speranza che il pargolo fosse della propria parte della città. Ora ovviamente si nasce (almeno in generale) negli ospedali ma l’attaccamento al proprio quartiere non è cambiato restante veramente forte e la gara veramente tanto sentita.


Breve storia del Palio

Già a partire dal XIII secolo si hanno testimonianze di una corsa di cavalli, mentre documenti precedenti raccontano di un Palio di San Bonifazio, il santo dell’antica Cattedrale precedente a quella attuale, dove venne posto lo stemma del Comune che segnava l’arrivo della corsa dei barberi. La gara era organizzata nelle festività principali dedicate alla Vergine Assunta, patrona di Siena, dai Deputati della Festa ed era corso dai nobili e notabili sui loro destrieri, "alla lunga", cioè in linea su un percorso che andava da fuori le mura al Duomo, dall'esterno all'interno. Il vincitore si portava a casa il pallium, lunga pezza di stoffa preziosa, talvolta cucito a bande verticali e foderato da centinaia di pelli di vaio. Mentre nelle contrade, a quel tempo, ci si dedicava a giochi più crudi e violenti.

mercoledì 29 aprile 2020

La villa medicea di Careggi


Dichiarata dall’UNESCO Patrimonio dell’Umanità, la villa di Careggi è una delle dimore più antiche appartenute alla famiglia Medici, dopo quella del Trebbio e di Cafaggiolo. Fu acquistata da Giovanni di Bicci dei Medici che  il 17 giugno 1417 comprò da Tommaso Lippi una proprietà situata sul colle chiamato Monterivecchi,oggi in via Gaetano Pieraccini 17. Un luogo, quello scelto di acquistare, che ben univa la pace e tranquillità campestre, fatta anche di coltivazioni agricole che contribuivano al reddito familiare, e la vicinanza alla città, dove tenere i propri affari finanziari.
La lunetta di Giusto Utens dove si vede la villa di Careggi, Villa La Petraia, Firenze
Il possedimento consisteva in un palazzo con corte, loggia pozzo, cantina, stalla, torre e altre due case. La ristrutturazione fu affidata dal figlio di Giovanni, Cosimo il Vecchio, a Michelozzo, suo architetto di fiducia, e si articolò in due fasi. La prima che si concluse nel 1440, comprese l’edificio la corte e gli ambienti vicini, mentre la seconda incluse la costruzione di due logge al piano terra e finì nel 1459, quando arrivò in visita a Firenze Francesco Sforza che lodò la bellezza della villa e il luogo.
Busto di Cosimo il Vecchio nella sala del camino della villa
Nel corso del Cinquecento la sorte dell’edificio ebbe numerosi ribaltamenti. Con la cacciata dei Medici da Firenze e il conseguente esilio, la villa pur non essendo fra i beni confiscati alla famiglia fu data in proprietà per eredità. Nel 1529 subì un disastroso incendio doloso, con ingenti danni alla struttura architettonica, per poi tornare in mano, con il rientro della famiglia, al duca Alessandro che ne decise importanti ristrutturazioni.  
Il pavimento nel ninfeo voluto da Carlo de' Medici
Nel 1609 passò a Carlo de’ Medici, personaggio amante della cultura e dell’arte, che nominato cardinale sei anni più tardi, cominciò un progetto di restauro che portò la trasformazione dello scantinato in un ninfeo con fonte guarnita di spugne e pavimento in ambrogette smaltate, armadi e pitture alle pareti. Allo stesso tempo chiamò Michelangelo Cinganelli perché affrescasse il salone al piano terreno, lo studiolo di Lorenzo il Magnifico con affreschi a grottesche sul soffitto e sulle pareti, e la loggetta esterna, già dipinta dal Pontormo nel Cinquecento ma i cui affreschi sono andati perduti per la tecnica usata dall’artista, probabilmente un affresco a secco. Assieme decise anche una ristrutturazione dell’intero giardino incaricando Giulio Parigi e il figlio Alfonso, che avevano già progettato quello di Boboli di Palazzo Pitti.
La loggetta al primo piano della villa
Dopo l’abbandono, dovuto anche alla fine della dinastia dei Medici, i Lorena, che acquisirono solo in comodato d’uso i loro beni, la villa passò nel 1780 a Vincenzo Orsini. Nel 1878 invece, fu acquistata da Sir Francis Joseph Sloane, un esperto geologo e botanico, e appassionato della storia e della cultura toscana e che collezionò moltissime opere d’arte. L’uomo intraprese anche numerose e importanti modifiche alla struttura, fra cui anche il prolungamento della facciata est, buttò giù i muri divisori fra corte, giardino e orto, costruì una limonaia e mise molte piante esotiche e rare, che ancora oggi si possono ammirare.
Lato della villa che si affaccia sul giardino
Dopo essere stata venduta nei primi anni del Novecento a Carlo Segre, la villa passò nel 1936 all’Arcispedale di Santa Maria Nova e nel 2004 fu acquistata dalla Regione Toscana e il 20 marzo 2007 il Presidente ha presentato la proposta di destinare l’edificio a Sede del Centro Europeo sul paesaggio.
La proprietà è divenuta certamente famosa come sede dell’Accademia Neoplatonica, in cui si incontravano famosissimi e illustri letterati, artisti e filosofi divenendo così un centro culturale di riferimento e ispirazione per l’epoca. Fra questi da citare sicuramente Marsilio Ficino, di fatto a capo di questa scuola e a cui Cosimo aveva donato una villetta lì vicino chiamata Le Fontanelle, ma anche Pico della Mirandola, Cristoforo Landino, Angelo Poliziano, ma anche gli stessi figli del Medici, Lorenzo e Giuliano e artisti come Botticelli e Michelangelo.
Fu la villa preferita da Lorenzo, dove nacque e dove anche decise di morire l’8 aprile 1492.
Oggi purtroppo è chiusa al pubblico.

mercoledì 15 aprile 2020

L'Accademia Neoplatonica di Firenze


Verso la fine del XIV secolo, con la nascita dell’Umanesimo e la riscoperta del Classicismo e le sue opere perfette e inimitabili, anche la filosofia ritrovò Platone uno dei massimi esponenti della corrente,. La nascita delle cattedre di Greco nelle più importanti università, e quelle di Latino, non nuove ma tenute da molti intellettuali bizantini scappati dopo la presa di Costantinopoli e la temporanea riunificazione della Chiesa d’Occidente con quella d’Oriente portò alla lettura e alla scoperta di autori come Platone, sconosciuto fino ad allora.
Secondo la loro dottrina, l’uomo, al centro dell’Umanesimo e soprattutto del Rinascimento, era un’armonica reciprocità fra anima e corpo, entrambi padroni del proprio destino: massima aspirazione che deriva dalla conoscenza filosofica è la felicità, almeno per gli spiriti più nobili ed eletti che possono raggiungere la conoscenza del vero dopo la morte.
Platone

mercoledì 25 marzo 2020

I Templari a Firenze

La fondazione dell’Ordine dei Cavalieri Templari trova le sue radici in un periodo storico europeo particolarmente favorevole, con la cristianizzazione della cavalleria voluta da papa Gregorio VII, ma anche e soprattutto per l’esigenza di protezione dei pellegrini che si muovevano da e verso la Terra Santa.
Uno dei simboli dei Cavalieri Templari che indicava la povertà dell'Ordine
Ben presto tutto il mondo allora conosciuto vide sorgere mansio e ospedali voluti da questi monaci-guerrieri che vivevano in un alone di mistero e misticismo, tanto che ancora oggi ne sono un argomento, ma soprattutto nel tempo avevano accumulato molte ricchezze e beni. Firenze non fece certamente eccezione, anche se la Toscana in generale e la città in particolare videro il loro arrivo molto più tardi rispetto ad altre località. Si dice che arrivarono in Toscana soltanto nella secondo metà del XII e a Firenze addirittura più tardi. La spiegazione deve infatti essere ricercata nella poca importanza che in quel periodo aveva Firenze, visto che siamo ancora lontani da quel luogo di cultura e arte che diverrà agli inizi del Quattrocento. Pochi e per la maggior parte adesso invisibili sono i segni che questi cavalieri hanno lasciato in città.
La più importante e l’unico edificio ancora visibile è la chiesa di san Jacopo in Campo Corbolini in via Faenza, una piccola chiesetta oggi adibita a sala convegni della famosa scuola per stranieri Lorenzo de’ Medici che ha la sede nella magione adiacente. All’interno purtroppo si presenta scarna con pochissime immagini in buone condizioni, ad una sola navata e di architettura tipica trecentesca. Fra gli autori importanti un attribuzione a Ridolfo del Ghirlandaio di un matrimonio mistico di santa Caterina e la lapide che ricorda la consacrazione della chiesa nell’anno 1206. Oggi fuori, restano invece i segni del passaggio dell’edificio ai cavalieri di Malta con una gigantesca croce, avvenuto quando sciolto l’ordine per volere di papa Clemente VII tutti i beni dei Templari passarono ad altri ordini cavallereschi.

mercoledì 11 marzo 2020

La peste a Firenze

«Dico adunque che giá erano gli anni della fruttifera Incarnazione del Figliuolo di Dio al numero pervenuti di milletrecentoquarantotto, quando nell’egregia cittá di Firenze, oltre ad ogni altra italica nobilissima, pervenne la mortifera pestilenza, la quale o per operazion de’ corpi superiori o per le nostre inique opere da giusta ira di Dio a nostra correzione mandata sopra i mortali, alquanti anni davanti nelle parti orientali incominciata, quelle d’innumerabile quantitá di viventi avendo private, senza ristare d’un luogo in uno altro continuandosi, inverso l’Occidente miserabilmente s’era ampliata. Ed in quella non valendo alcun senno né umano provvedimento, […]  E non come in Oriente aveva fatto, dove a chiunque usciva sangue del naso era manifesto segno d’inevitabile morte: ma nascevano nel cominciamento d’essa a’ maschi ed alle femine parimente o nell’anguinaia o sotto le ditella certe enfiature, delle quali alcune crescevano come una comunal mela ed altre come uno uovo, ed alcuna piú ed alcuna meno, le quali li volgari nominavan «gavoccioli». E dalle due parti predette del corpo infra brieve spazio di tempo cominciò il giá detto gavocciolo mortifero indifferentemente in ogni parte di quello a nascere ed a venire: ed appresso questo, si cominciò la qualitá della predetta infermitá a permutare in macchie nere o livide, le quali nelle braccia e per le cosce ed in ciascuna altra parte del corpo apparivano a molti, a cui grandi e rade ed a cui minute e spesse. E come il gavocciolo primieramente era stato ed ancora era certissimo indizio di futura morte, e cosí erano queste a ciascuno a cui venivano. A cura delle quali infermitá né consiglio di medico né vertú di medicina alcuna pareva che valesse o facesse profitto: […]E piú avanti ancora ebbe di male: ché non solamente il parlare e l’usare con gl’infermi dava a’ sani infermitá o cagione di comune morte, ma ancora il toccare i panni e qualunque altra cosa da quegli infermi stata tócca o adoperata pareva seco quella cotale infermitá nel toccator trasportare.»
Giovanni Boccaccio, Decamerone.

John William Waterhouse, Un racconto dal Decamerone, Lady Lever Art Gallery, Liverpool

mercoledì 26 febbraio 2020

Schiacciata alla fiorentina

Ricetta e tradizione fiorentina


Ricetta tipica del Carnevale fiorentino, la schiacciata alla fiorentina è un dolce che si presta a molteplici variazioni sia nella ricetta di base che anche nel ripieno, con panna, crema, cioccolato crema chantilly o altre a fantasia. Quello che è certo è che è buonissima!!!
Schiacciata alla fiorentina con la tipica decorazione a giglio in cacao
Ma quali sono gli ingredienti? E quale la ricetta originale? Qui sotto riporto la preparazione per così dire tradizionale che personalmente ha qualche differenza con la mia. Ma la tradizione prima di tutto! Di seguito poi trovate la mia versione!

Ingredienti

mercoledì 12 febbraio 2020

Chiesa di Santa Margherita de' Cerchi


Scrive il Richa, II, 134 e seg. che “La Chiesa è antichissima, ed assai più di quello, che parlano le scritture a noi rimase, posciachè essendo ella una delle 36. Parrocchie, e chiusa nel primo cerchio della Città, gode due autorevoli documenti di antichità. La prima scrittura però, che si trovi, è un Istrumento de’ più rari, che abbia L’Archivio del Capitolo Fiorentino, cioè una carta di Procura per la riforma del Clero in tempo di Sedia vacante, che ha per titolo: Universus Clerus, et Dioces Flor. Eccl. Flor. vacante, faciunt eorum procuratorem ad quam plurimum peragendum 1286. die 3. Aprilis. I primi sottoscritti sono quattro Canonici a nome del Capitolo, ed al numero 44. tra’ Curati leggesi: D. Cosmus Cappellanus Sancte Margherite. Altra scrittura trovò Stefano Rosselli, che è un breve di Papa Martino IV. Pel quale il Rettore di Santa Margherita Don Giovanni Peponi è promosso al Presbiterato Fiorentinoo varcato per la morte di Tribaldo Arciprete, ed il Breve è dato in Orvieto 3 Non. Iulii An. 1283. Di una terza ancora più vecchia scrittura debbo grato al Sig. Domenico Maria Manni nel Sigillo 14. del Tomo XVIII. avendo egli trovato un contratto di vendita, che fece il Conte Guido Salvatico della Famiglia de’ Cerchi di alcune case, in populo Sancte Margherite rogato Ser Rinuccino da Certaldo 1280”.
Facciata della chiesa di santa Margherita de' Cerchi