La fondazione dell’Ordine dei Cavalieri Templari trova le sue
radici in un periodo storico europeo particolarmente favorevole, con la
cristianizzazione della cavalleria voluta da papa Gregorio VII, ma anche e
soprattutto per l’esigenza di protezione dei pellegrini che si muovevano da e
verso la Terra Santa.
Uno dei simboli dei Cavalieri Templari che indicava la povertà dell'Ordine |
Ben presto tutto il mondo allora conosciuto vide sorgere
mansio e ospedali voluti da questi monaci-guerrieri che vivevano in un alone di
mistero e misticismo, tanto che ancora oggi ne sono un argomento, ma
soprattutto nel tempo avevano accumulato molte ricchezze e beni. Firenze non
fece certamente eccezione, anche se la Toscana in generale e la città in
particolare videro il loro arrivo molto più tardi rispetto ad altre località.
Si dice che arrivarono in Toscana soltanto nella secondo metà del XII e a
Firenze addirittura più tardi. La spiegazione deve infatti essere ricercata
nella poca importanza che in quel periodo aveva Firenze, visto che siamo ancora
lontani da quel luogo di cultura e arte che diverrà agli inizi del
Quattrocento. Pochi e per la maggior parte adesso invisibili sono i segni che
questi cavalieri hanno lasciato in città.
La più importante e l’unico edificio ancora visibile è la
chiesa di san Jacopo in Campo Corbolini in via Faenza, una piccola chiesetta
oggi adibita a sala convegni della famosa scuola per stranieri Lorenzo de’
Medici che ha la sede nella magione adiacente. All’interno purtroppo si
presenta scarna con pochissime immagini in buone condizioni, ad una sola navata
e di architettura tipica trecentesca. Fra gli autori importanti un attribuzione
a Ridolfo del Ghirlandaio di un matrimonio mistico di santa Caterina e la
lapide che ricorda la consacrazione della chiesa nell’anno 1206. Oggi fuori,
restano invece i segni del passaggio dell’edificio ai cavalieri di Malta con
una gigantesca croce, avvenuto quando sciolto l’ordine per volere di papa
Clemente VII tutti i beni dei Templari passarono ad altri ordini cavallereschi.
Chiesa di san Jacopo in Campo Corbolini, interno |
Interessante e quanto mai enigmatico è invece il cosiddetto
affresco delle Stinche, oggi conservato nella Saletta in Palazzo Vecchio, ma
originario delle antiche carceri fiorentine. L’opera, attribuita ad Andrea di
Cione (detto l’Orcagna), rappresenta la Cacciata del Duca d’Atene da Firenze
nel giorno di sant’Anna, il 26 luglio. Nella raffigurazione si vede la Santa a
grandezza sproporzionata rispetto al resto, con accanto Palazzo Vecchio, da cui
esce una figura, quasi certamente Gualtieri VI di Brienne con in mano qualcosa,
mentre a sinistra un esercito in sua contemplazione con indosso una croce rossa.
Alcuni studiosi hanno voluto vedere nella figura che porta il Duca, l’immagine
di un uomo barbuto, secondo alcuni a rappresentare il Bafometto, una creatura
mostruosa adorata dai Templari secondo le accuse del processo, mentre altri la
Sindone, segno quindi di un passaggio dell’importante reliquia da Firenze.
L’esercito invece con la croce rossa viene visto così, non come appartenente
alla Repubblica fiorentina ma bensì templare, a dimostrazione del legame tra la
Sindone e l’Ordine o di questo e l’idolo. È difficile dirlo. L’affresco
purtroppo è molto danneggiato, e le immagini non sempre risultano chiare e
facilmente comprensibili, e le domande e le considerazione difficilmente,
almeno per il momento, potranno trovare certezze.
Andrea di Cione (detto L'Orcagna), La cacciata del Duca d'Atene, Firenze, Palazzo Vecchio, Saletta, 1323 |
Assieme a questi esempi altri piccoli indizi di una Firenze
esoterica e colma di misticismo templare: se si guarda con occhi attenti fra le
strade non è difficile imbatterci in altri piccoli indizi come le croci patenti
su alcuni edifici, primo fra tutti quello al Ponte Vecchio accanto ad un
negozio di pelletteria. Secondo alcuni studiosi, qui ci sarebbe stato un porto
appartenuto ai Cavalieri Gerosolimitani, mentre quello Templare era quasi
certamente nei pressi di Santa Croce dove loro quasi certamente risiedevano. Anche
Zingoni dice : “… poiché i giovanniti erano possessori dell’ospedale del S.
Sepolcro, sulla sponda sinistra dell’Arno al termine del Ponte Vecchio, è stato
lecito pensare che i templari, se-condo una consuetudine di ripartizione
territoriale diffusa presso i due ordini, presidiassero l’altra riva nella zona
appunto di Santa Croce”. […] Il porto si chiamò del Tempio […] per la
sua ubicazione nella zona così chiamata a Firenze, difficilmente per un legame
con i Templari, i quali non compaiono in nessun documento relativo
all‟installazione fluviale […]. Comunque dobbiamo ribadire che questi sono
risultati parziali e non definitivi, perché un‟indagine sistematica della presenza
templare a Firenze dev’essere ancora fatta”. Molti però sostengono che
quello gerosolimitano, che si trova nella riva diladdarno, sia appartenuto ai
Templari, e solo con la fine dell’Ordine sarebbe passato a loro. Anzi si
suppone addirittura che potesse trattarsi della loro prima magione quando
arrivarono a Firenze, e che corrisponderebbe ad un antico edificio appartenuto
all’ordine benedettino.
Ponte Vecchio, con il simbolo dei Templari, da Google Maps |
Ma non c’è solo questo. In molte altre strade è facile
scovare segni di un loro passaggio, come altre croci del loro ordine, o
qualcosa di più mistico come il Palazzo dei Giudici e dei Notai, dove ci si
imbatte in una Firenze paragonata alla Gerusalemme Celeste e forse sede dei
Fedeli d’Amore di Dante, famoso simpatizzante dell’Ordine, che esisteva già nel
1019.
Firenze araldica immaginata come la Gerusalemme Celeste, Palazzo dei Giudici e dei Notai, Firenze, via del Proconsolo |
I Cavalieri Templari “fiorentini”, o Tempieri come li
chiamavano in Toscana, finirono la loro storia come quelli francesi, con un
processo che mise fine all’Ordine e mandò i monaci-guerrieri in altri Ordini o
in esilio. Il 14 settembre 1311 iniziò la prima delle due istruttorie che vide
coinvolti Frate Bernardo di Parma, Frate Egidio, precettore della domus di S.
Gimignano, Frate Guido de Cetica della diocesi di Fiesole e precettore della
domus di Capuorsoli, Frate Nicola Regino, precettore della domus di S.
Salvatore di Grosseto, Frate Lanfranco de Florentuola e Frate Giacomo de
Pighazzano della diocesi di Piacenza. I sei imputati erano accusati soprattutto
di bestemmie, adorazione di un diavolo, o meglio di un essere chiamato Bafometto,
un idolo mostruoso a quattro zampe o con una faccia umana dai capelli crespi e
la barba corta e apostasia. In questa prima fase le confessioni furono estorte
con la violenza, come racconta Magaletto nella lettera mandata al Papa, e
probabilmente in riferimento alla “Regina dei tormenti”, una tortura che
lasciava l’accusato appeso spesso con dei pesi ai piedi per aumentarne il
dolore. La seconda istruttoria invece ebbe luogo l’anno successivo, dal 14
settembre al 24 ottobre, con gli stessi capi d’accusa, ma se nella volta
precedente, erano sotto giudizio in quanto membri di un Ordine sotto processo,
questa volta gli stessi imputati erano chiamati personalmente a rispondere
delle loro malefatte. Il processo finì con la condanna di tutti ad essere esiliati
o incarcerati, anche se le ordinanze nella realtà non furono del tutto
rispettate come ci ricorda il Davishon che ci dice che uno di loro fu visto
circolare liberamente in città solo dopo qualche anno dalla sentenza.
È
difficile in un articolo solo poter parlare di un argomento tanto importante e
ricco di informazioni come quello dei Templari a Firenze; quello che sta
terminando è quindi sono una piccola introduzione a questo tema, che verrà approfondito
in maniera adeguata, in un non tanto lontano futuro. Appuntamento quindi alle
prossime volte e per adesso buona caccia agli indizi!
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