mercoledì 25 marzo 2020

I Templari a Firenze

La fondazione dell’Ordine dei Cavalieri Templari trova le sue radici in un periodo storico europeo particolarmente favorevole, con la cristianizzazione della cavalleria voluta da papa Gregorio VII, ma anche e soprattutto per l’esigenza di protezione dei pellegrini che si muovevano da e verso la Terra Santa.
Uno dei simboli dei Cavalieri Templari che indicava la povertà dell'Ordine
Ben presto tutto il mondo allora conosciuto vide sorgere mansio e ospedali voluti da questi monaci-guerrieri che vivevano in un alone di mistero e misticismo, tanto che ancora oggi ne sono un argomento, ma soprattutto nel tempo avevano accumulato molte ricchezze e beni. Firenze non fece certamente eccezione, anche se la Toscana in generale e la città in particolare videro il loro arrivo molto più tardi rispetto ad altre località. Si dice che arrivarono in Toscana soltanto nella secondo metà del XII e a Firenze addirittura più tardi. La spiegazione deve infatti essere ricercata nella poca importanza che in quel periodo aveva Firenze, visto che siamo ancora lontani da quel luogo di cultura e arte che diverrà agli inizi del Quattrocento. Pochi e per la maggior parte adesso invisibili sono i segni che questi cavalieri hanno lasciato in città.
La più importante e l’unico edificio ancora visibile è la chiesa di san Jacopo in Campo Corbolini in via Faenza, una piccola chiesetta oggi adibita a sala convegni della famosa scuola per stranieri Lorenzo de’ Medici che ha la sede nella magione adiacente. All’interno purtroppo si presenta scarna con pochissime immagini in buone condizioni, ad una sola navata e di architettura tipica trecentesca. Fra gli autori importanti un attribuzione a Ridolfo del Ghirlandaio di un matrimonio mistico di santa Caterina e la lapide che ricorda la consacrazione della chiesa nell’anno 1206. Oggi fuori, restano invece i segni del passaggio dell’edificio ai cavalieri di Malta con una gigantesca croce, avvenuto quando sciolto l’ordine per volere di papa Clemente VII tutti i beni dei Templari passarono ad altri ordini cavallereschi.

Chiesa di san Jacopo in Campo Corbolini, interno
Interessante e quanto mai enigmatico è invece il cosiddetto affresco delle Stinche, oggi conservato nella Saletta in Palazzo Vecchio, ma originario delle antiche carceri fiorentine. L’opera, attribuita ad Andrea di Cione (detto l’Orcagna), rappresenta la Cacciata del Duca d’Atene da Firenze nel giorno di sant’Anna, il 26 luglio. Nella raffigurazione si vede la Santa a grandezza sproporzionata rispetto al resto, con accanto Palazzo Vecchio, da cui esce una figura, quasi certamente Gualtieri VI di Brienne con in mano qualcosa, mentre a sinistra un esercito in sua contemplazione con indosso una croce rossa. Alcuni studiosi hanno voluto vedere nella figura che porta il Duca, l’immagine di un uomo barbuto, secondo alcuni a rappresentare il Bafometto, una creatura mostruosa adorata dai Templari secondo le accuse del processo, mentre altri la Sindone, segno quindi di un passaggio dell’importante reliquia da Firenze. L’esercito invece con la croce rossa viene visto così, non come appartenente alla Repubblica fiorentina ma bensì templare, a dimostrazione del legame tra la Sindone e l’Ordine o di questo e l’idolo. È difficile dirlo. L’affresco purtroppo è molto danneggiato, e le immagini non sempre risultano chiare e facilmente comprensibili, e le domande e le considerazione difficilmente, almeno per il momento, potranno trovare certezze.
Andrea di Cione (detto L'Orcagna), La cacciata del Duca d'Atene, Firenze, Palazzo Vecchio, Saletta, 1323
Assieme a questi esempi altri piccoli indizi di una Firenze esoterica e colma di misticismo templare: se si guarda con occhi attenti fra le strade non è difficile imbatterci in altri piccoli indizi come le croci patenti su alcuni edifici, primo fra tutti quello al Ponte Vecchio accanto ad un negozio di pelletteria. Secondo alcuni studiosi, qui ci sarebbe stato un porto appartenuto ai Cavalieri Gerosolimitani, mentre quello Templare era quasi certamente nei pressi di Santa Croce dove loro quasi certamente risiedevano. Anche Zingoni dice : “… poiché i giovanniti erano possessori dell’ospedale del S. Sepolcro, sulla sponda sinistra dell’Arno al termine del Ponte Vecchio, è stato lecito pensare che i templari, se-condo una consuetudine di ripartizione territoriale diffusa presso i due ordini, presidiassero l’altra riva nella zona appunto di Santa Croce”. […] Il porto si chiamò del Tempio […] per la sua ubicazione nella zona così chiamata a Firenze, difficilmente per un legame con i Templari, i quali non compaiono in nessun documento relativo all‟installazione fluviale […]. Comunque dobbiamo ribadire che questi sono risultati parziali e non definitivi, perché un‟indagine sistematica della presenza templare a Firenze dev’essere ancora fatta”. Molti però sostengono che quello gerosolimitano, che si trova nella riva diladdarno, sia appartenuto ai Templari, e solo con la fine dell’Ordine sarebbe passato a loro. Anzi si suppone addirittura che potesse trattarsi della loro prima magione quando arrivarono a Firenze, e che corrisponderebbe ad un antico edificio appartenuto all’ordine benedettino.
Ponte Vecchio, con il simbolo dei Templari, da Google Maps
Ma non c’è solo questo. In molte altre strade è facile scovare segni di un loro passaggio, come altre croci del loro ordine, o qualcosa di più mistico come il Palazzo dei Giudici e dei Notai, dove ci si imbatte in una Firenze paragonata alla Gerusalemme Celeste e forse sede dei Fedeli d’Amore di Dante, famoso simpatizzante dell’Ordine, che esisteva già nel 1019.
Firenze araldica immaginata come la Gerusalemme Celeste, Palazzo dei Giudici e dei Notai, Firenze, via del Proconsolo
I Cavalieri Templari “fiorentini”, o Tempieri come li chiamavano in Toscana, finirono la loro storia come quelli francesi, con un processo che mise fine all’Ordine e mandò i monaci-guerrieri in altri Ordini o in esilio. Il 14 settembre 1311 iniziò la prima delle due istruttorie che vide coinvolti Frate Bernardo di Parma, Frate Egidio, precettore della domus di S. Gimignano, Frate Guido de Cetica della diocesi di Fiesole e precettore della domus di Capuorsoli, Frate Nicola Regino, precettore della domus di S. Salvatore di Grosseto, Frate Lanfranco de Florentuola e Frate Giacomo de Pighazzano della diocesi di Piacenza. I sei imputati erano accusati soprattutto di bestemmie, adorazione di un diavolo, o meglio di un essere chiamato Bafometto, un idolo mostruoso a quattro zampe o con una faccia umana dai capelli crespi e la barba corta e apostasia. In questa prima fase le confessioni furono estorte con la violenza, come racconta Magaletto nella lettera mandata al Papa, e probabilmente in riferimento alla “Regina dei tormenti”, una tortura che lasciava l’accusato appeso spesso con dei pesi ai piedi per aumentarne il dolore. La seconda istruttoria invece ebbe luogo l’anno successivo, dal 14 settembre al 24 ottobre, con gli stessi capi d’accusa, ma se nella volta precedente, erano sotto giudizio in quanto membri di un Ordine sotto processo, questa volta gli stessi imputati erano chiamati personalmente a rispondere delle loro malefatte. Il processo finì con la condanna di tutti ad essere esiliati o incarcerati, anche se le ordinanze nella realtà non furono del tutto rispettate come ci ricorda il Davishon che ci dice che uno di loro fu visto circolare liberamente in città solo dopo qualche anno dalla sentenza.
È difficile in un articolo solo poter parlare di un argomento tanto importante e ricco di informazioni come quello dei Templari a Firenze; quello che sta terminando è quindi sono una piccola introduzione a questo tema, che verrà approfondito in maniera adeguata, in un non tanto lontano futuro. Appuntamento quindi alle prossime volte e per adesso buona caccia agli indizi!

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