mercoledì 12 febbraio 2020

Chiesa di Santa Margherita de' Cerchi


Scrive il Richa, II, 134 e seg. che “La Chiesa è antichissima, ed assai più di quello, che parlano le scritture a noi rimase, posciachè essendo ella una delle 36. Parrocchie, e chiusa nel primo cerchio della Città, gode due autorevoli documenti di antichità. La prima scrittura però, che si trovi, è un Istrumento de’ più rari, che abbia L’Archivio del Capitolo Fiorentino, cioè una carta di Procura per la riforma del Clero in tempo di Sedia vacante, che ha per titolo: Universus Clerus, et Dioces Flor. Eccl. Flor. vacante, faciunt eorum procuratorem ad quam plurimum peragendum 1286. die 3. Aprilis. I primi sottoscritti sono quattro Canonici a nome del Capitolo, ed al numero 44. tra’ Curati leggesi: D. Cosmus Cappellanus Sancte Margherite. Altra scrittura trovò Stefano Rosselli, che è un breve di Papa Martino IV. Pel quale il Rettore di Santa Margherita Don Giovanni Peponi è promosso al Presbiterato Fiorentinoo varcato per la morte di Tribaldo Arciprete, ed il Breve è dato in Orvieto 3 Non. Iulii An. 1283. Di una terza ancora più vecchia scrittura debbo grato al Sig. Domenico Maria Manni nel Sigillo 14. del Tomo XVIII. avendo egli trovato un contratto di vendita, che fece il Conte Guido Salvatico della Famiglia de’ Cerchi di alcune case, in populo Sancte Margherite rogato Ser Rinuccino da Certaldo 1280”.
Facciata della chiesa di santa Margherita de' Cerchi
La prima documentazione sulla ecclesia Santae Margeritae risale all’11 maggio 1032: dedicata a Santa Margherita di Antiochia, l’edificio prese il nome dalla famiglia dei Cerchi che, insieme quelle dei Donati e degli Adimari, ne ebbe il Patronato, come è scritto in un rogito di ser Lando Fortini, notaro, datato al 1353; come ci ha detto il Richa, essa fu una delle 36 parrocchie fiorentine e, da allora, fu più volte rimaneggiata, fino ad assumere la forma attuale; del XIII-XIV secolo sono le finestre a feritoia del coro e le strette monofore sul fianco destro.
Oltre alle finestre una traccia che ci consenta una datazione più antica è la facciata in pietra a vista, ove si può scorgere un antico spiovente d’inclinazione, più marcata dell’attuale e, sul lato sinistro, leggermente sopra i tre occhi, aperti forse nel Quattrocento.
Tale linea indica, probabilmente, l’altezza originale della chiesa che doveva essere più piccola dell’attuale; sempre sulla facciata, a un metro circa dal tetto, si nota, sulla destra, una differenza del muro che fa pensare ad un primo intervento di ristrutturazione.
Il definitivo innalzamento si è avuto nel Trecento, riferendo la sua pretesa fondazione da parte delle famiglie dei Donati, Cerchi e Adimari è, forse a questa ricostruzione appartiene il portale con arco a tutto sesto con sopra scolpiti gli stemmi delle tre famiglie che ne avevano il patronato fin dal 1353.
Nel Codice Rustici, il portale è sormontato da un piccolo portico pensile, del quale, però, non è stato trovato traccia nel muro; questo ci fa pensare che al suo posto ci fosse una tettoia come quella attuale.
Stemma e portale oggi presenti sulla facciata della chiesa
In un altro documento scopriamo che grazie al lascito testamentario di Lionetto de’ Giochi del 1363, fu rifatto il tetto della chiesa, completando definitivamente così la sua ristrutturazione; comunque gli studiosi ritengono che la chiesa risalga a prima del Mille; ampliata nel XII-XIII secolo, e definitivamente ristrutturata nella metà del Trecento.
L’interno è una semplice stanza, con il coro leggermente sopraelevato; l’arco trionfale fu strutturato con il rifacimento della tribuna agli inizi del Settecento da Giuseppe Tonelli e il dipinto sulla volta rappresentante una Gloria di Santa Margherita, è di Giovan Battista Perini.
Interno della chiesa
Due sono gli altari, entrambi cinquecenteschi: quello di destra di patronato dei Salviati, fatto costruire da Jacopo Salviati e dalla moglie Lucrezia de’ Medici, figlia di Lorenzo il Magnifico nel 1533; quello di sinistra è dei Portinari, discendenti di Folco Portinari, fondatore dello Spedale di Santa Maria Nuova con la loro arme scolpita nei pilastri (una porta chiusa, con due leoni neri rampanti che la mettono in mezzo in campo d’oro). Sopra l’altare maggiore, si trova una Madonna tra Santa Lucia, Santa Margherita, Sant’Agnese e Santa Caterina d’Alessandria, dipinta da Neri di Bicci.
Riguardo alla fantasiosa e turistica denominazione di questo edificio come “chiesa di Dante”, si deve ritenere questa ipotesi del tutto priva di fondamento: anche se la sua famiglia come d’altronde quella dei Portinari ed altre famiglie fiorentine avevano case nelle sue vicinanze, spesso leggiamo che il Sommo Poeta parla del suo “bel San Giovanni”, cioè del Duomo, come la sua chiesa. Certamente è, però, bello immaginare Dante giovinetto che guarda passare, la sua Beatrice, accompagnata dalla nutrice, Monna Tessa e dalla madre Cilia de’ Caponsacchi alle funzioni religiose e, forse, entrando in chiesa ci si può immaginare di respirare un po’ di quell’amore adolescenziale che ha portato con sé fino alla morte anche nelle sue opere.
La presunta tomba di Beatrice Portinari, la donna amata da Dante
Nella vita, però, i due prendono strade diverse, lei va sposa a Simone de’ Bardi e lui da quando aveva dodici anni, cioè nel 1277, fu concordato ad accasarsi con Gemma Donati, figlia di Messer Manetto e si unirono in matrimoni quando lui aveva vent’anni. Da lei ebbe tre figli: Jacopo, Pietro e Antonietta e forse un quarto, un certo Giovanni, “Iohannes filius Dantis Aligherii de Florentia”, che, viene nominato come suo figlio quando compare come testimone a Lucca, in un atto del 21 ottobre 1308. La figlia Antonietta divenne monaca nel Convento delle Olivetane a Ravenna col nome (forse, per puro caso) di Sorella Beatrice.
Non ci è concesso sapere se le loro famiglie si siano mai incontrate, ma, il loro incontro più bello, se pur immaginario, lo troviamo nella sua Commedia quando, lasciatosi alle spalle Virgilio, che gli ha fatto da guida nell’Inferno e nel Purgatorio, lei lo accompagna in un meraviglioso viaggio nel Paradiso.

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